Ancora mi porto dentro le sensazioni di quella mediazione.
L. e A. erano una donna ed un uomo all’interno di una relazione coniugale arrivata per loro al capolinea; da me conosciuti in un percorso di mediazione penale (per presunte lesioni derivate da percosse del marito alla moglie, al culmine di un litigio).
Il conflitto tra i due si protraeva da anni ormai.
Quello che emerse dagli incontri fu il racconto, per ciascuno, di una vita fatta di speranze ma soprattutto di delusioni, di aspettative fondate su dei valori così pregnanti da poter, all’apparenza, essere scambiati con l’identità stessa delle due persone che li portavano. Valori che, nei due confliggenti, ci si poteva aspettare fossero diversi e che invece qui erano identici… ma che si invocavano a gran voce da due minareti contrapposti.
In tutti e due era così forte la rabbia, e così profonda, da risultare loro stessi spaventati dal pensiero di poterla sfiorare insieme a me. Il conflitto, infatti, era a dire il vero precedente la loro relazione. Si poteva sentire la rabbia da parte di L. per quanto le sue origini avessero mortificato il candore della sua gioventù; rabbia da parte di A. per quanti colpi la vita gli avesse riservato e per il pensiero costante indirizzato ad una madre che era mancata per la volontà di qualcuno.
La guerra non era solo fra loro due, che sembravano quanto mai accomunati dalla disperazione e dalla soffocata volontà di ricostruirsi una dignità, ma era anche verso una vita che non li aveva riconosciuti come meritevoli della felicità. Verso una altra “madre” da cui si sentivano abbandonati… sentimento che però provavano vergogna a riconoscere.
E quanto più si sentivano abbandonati, tanto più entrambi assumevano atteggiamenti rigidi e di controllo nel quotidiano. Il peso di questo ogni giorno li affaticava di più. Il futuro? Difficile guardarlo.
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La musica è spesso un balsamo.
A distanza di tempo, mi piacerebbe rincontrare sia A. che L., se lo vorranno. Per ora dedico loro il testo di una canzone[1] che, se vorranno ascoltare, ha il potere di sciogliere qualche “nodo”; magari anche i loro …
…. O i nostri.
“Lascio andare la mano
che mi stringe la gola
Lascio andare la fune
Che mi unisce alla riva
Il moschettone nella parete
L’orgoglio e la sete
Lascio andare le valigie
I mobili antichi
Le sentinelle armate in garitta
Ogni mia cosa trafitta
Lascio andare il destino
Tutti i miei attaccamenti
I diplomi appesi in salotto
Il coltello tra i denti
Lascio andare mio padre e mia madre
E le loro paure
Quella casa nella foresta
Un umore che duri davvero
Per ogni tipo di viaggio
Meglio avere un bagaglio leggero
Distendo le vene
E apro piano le mani
Cerco di non trattenere più nulla
Lascio tutto fluire
L’aria dal naso arriva ai polmoni
Le palpitazioni tornano battiti
La testa torna al suo peso normale
La salvezza non si controlla
Vince chi molla
[1] “Vince chi molla”, Niccolò Fabi